Matermania, Matromagna, Matromania, Mitromania, Grotta del Matrimonio, tanti sono i nomi con cui viene chiamata questa grotta che sorge nella parte sud-orientale dell’isola di Capri, alle pendici del monte Tuoro, lungo il percorso del Pizzolungo. L’importante ritrovamento di una statuetta di terracotta raffigurante Cibele, e di un altare a lei dedicato, fanno propendere per la prima accezione, essendo la divinità identificata come Mater Magna, la dea frigia della natura e degli animali, a cui sembra che fossero riservati riti e sacrifici all’interno della grotta. Ispirandosi alla Mater Magna l’archeologo Giuseppe Feola chiamò l’antro Matromagna.

Il toponimo Mitromania sembra derivare, invece, dalla scoperta di un bassorilievo mitriaco nella zona della piana di San Costanzo, il che fa pensare che la grotta fosse dedicata al dio Mitra, la divinità ellenistica e romana conosciuta anche come dio del Sole. Questa antica grotta, che la mattina viene investita dai raggi solari, ha portato gli studiosi a credere che potesse essere stata un santuario dove venivano celebrati i misteri mitraici. La grotta è nota anche col nome di Grotta del Matrimonio, per l’usanza dei novelli sposi di recarsi al suo interno per rendere omaggio alla Grande Madre. Ma al di là della varietà degli appellativi, sembra che i ritrovamenti archeologici confermino che questa grotta naturale fosse stata trasformata in lussuoso ninfeo in epoca romana, un luogo per rinfrescarsi e riposare fra ogni comodità.

Geologia e architettura della grotta

L’interno della grotta è diviso in due ambienti, una sala rettangolare absidata con due podi sovrapposti e, l’altro, più piccolo, di forma ovale; entrambi recano ancora tracce della decorazione pittorica. Tra i due ambienti è stata rinvenuta una piccola scala, che secondo l’archeologo Amedeo Maiuri conduceva a una cavità che raccoglieva l’acqua proveniente dallo stillicidio delle pareti o da una vena sotterranea, oggi estinta. Inoltre, sono stati rinvenuti i resti di un triclinio in legno (forse in origine rivestito in marmo).
Costituita di roccia calcarea incoerente e non stratificata, la grotta sembra essersi originata in seguito a fenomeni distruttivi: l’erosione dell’acqua avrebbe provocato lo sfaldamento degli strati superiori e il successivo collasso. Oggi si presenta con una forma semicircolare, ha una lunghezza di circa 30 metri, 20 di larghezza massima e un’altezza media di 10 metri. Poiché era costantemente minacciata dal rischio di caduta di massi, gli antichi romani avevano costruito a protezione una muratura a tutto sesto e livellato il pavimento con un riempimento. Nel corso dei secoli la Grotta di Matromania ha subito numerose razzie e vari interventi: fra gli altri, gli scavi ordinati da Ferdinando I di Borbone, che si appropriò dei marmi policromi e delle sculture presenti al suo interno, e nel 1929 gli importanti lavori di manutenzione a cura della Soprintendenza archeologica di Napoli con l’apporto di contributi di studiosi di fama internazionale.

La stele di Hỳpatos

Attorno al 1740, sarebbe stata rinvenuta all’interno della grotta una lastra di marmo scalpellata, con un’epigrafe recante queste parole: «Voi, o demoni eccellenti, che abitate la terra di Stige, accogliete nell’Ade anche me, miserrimo, seppure strappato via non per giudizio ponderato dalle Moire, ma con repentina morte violenta, per la collera ingiusta di un demone, che ha spezzato le aspettative in me, che appena allora avevo raggiunto una posizione di rilievo presso il padrone, e anche le aspettative dei genitori nei miei riguardi. Non essendo più quindicenne, ma non avendo ancora compiuto i venti anni, sventurato, cessò di vedere la luce. Il mio nome è Hỳpatos. Io supplico ancora mio fratello e i genitori di non piangere più, gli sventurati!». La stele ricorda la morte prematura di un giovane, Hỳpatos, che secondo leggenda fu sacrificato a Mitra, ma secondo gli storici pare fosse morto per una disgrazia all’epoca di Tiberio.

Gli eclettici ospiti di Matromania

Poco dopo la fine della Prima Guerra Mondiale l’antro accolse il monaco eremita Miradois (al secolo Gustavo Giulio Ottone Dobrich) che visse lì in totale solitudine cibandosi solo di erbe selvatiche, radici e di latte di capra. Quando lasciò la grotta donò il suo contenuto al Comune di Capri, «quattro letti in pietra, otto cuscini in sabbia e calcare, quattro mura e il sole». Ma la grotta è famosa anche per essere stata sede di uno scandalo. Infatti, il barone Fersen, proprietario di Villa Lysis, l’amava molto, e nel 1910 con alcuni amici e l’amato Nino Cesarini vi mise in scena un pittoresco tableau vivant, forse ispirato proprio alla triste storia di Hỳpatos. Ma il controverso festino fu interrotto dalle forze dell’ordine avvisate dalla popolazione locale e Fersen fuggì a Napoli per non incorrere nella disonorevole espulsione da Capri.

Sacrifici di animali, rituali ipnotici e altre pratiche discutibili contribuirono ad alimentare le leggende che circolavano intorno alla grotta, come quella, infondata, che l’imperatore Tiberio la usasse per le orge. Anche se oggi rimane poco della struttura originale – una volta era coperta da mosaici, stucchi policromi e conchiglie marine – una visita al suo interno è sempre un momento ricco di fascino e di mistero, sia che vogliate prendervi una pausa dalla calura estiva sia che vogliate calarvi nella sua atmosfera mitica… ma anche se avete in programma di sposarvi a Capri!

Nathalie Anne Dodd

Credit: Costantino Esposito

Pubblicato su Isola di Capri Portal, 13/03/2021

Ti potrebbe piacere: