Metà leonessa e metà donna, Sekhmet, “la Potente”, continua a esercitare grande potere e fascino su chi la osserva, e nonostante si siano succeduti secoli e dinastie, il corso del tempo e della storia non ha offuscato la sua presenza nel pantheon delle divinità egizie. Considerata dagli antichi Egizi l’Occhio del Sole, Sekhmet era un simbolo del potere divino di natura ambivalente, in quanto emblema di potenza devastatrice e al contempo dispensatrice di prosperità. Temuta e adorata, Sekhmet poteva inviare sulla terra pestilenze e disgrazie, ma era anche in grado di guarire e proteggere dalle negatività, tanto da avere un sacerdozio, quello dei “puri sacerdoti di Sekhmet”, dedito alla cura delle vittime colpite da malattie invisibili, inspiegabili e apparentemente divine.

Fino alla fine del 2023 il Museo Civico Archeologico di Bologna accoglie un’imponente statua della dea proveniente dal Museo Egizio di Torino, un capolavoro di eccezionali dimensioni (2,13 metri), che introduce il pubblico alla visita della Collezione Egizia facendo rivivere le stesse emozioni che potevano aver provato i sacerdoti dell’Antico Egitto, ed evocando la funzione protettrice per la quale la statua era stata commissionata dal faraone Amenhotep III. L’importanza di questa opera scultorea per la storia dell’arte e la religione dell’Antico Egitto, ma anche la sua contestualizzazione nella sezione egizia del Museo Civico Archeologico di Bologna sono al centro di una illuminante conversazione con la curatrice della mostra e della sezione egizia del Museo, la Dott.ssa Daniela Picchi.

La collezione egizia di Bologna è una delle più importanti d’Italia e il museo della città dialoga con musei di tutto il mondo; da cosa nasce la scelta di portare a Bologna la statua di Sekhmet appartenente al Museo Egizio di Torino?
La collezione egizia di Bologna conserva un busto della dea Sekhmet. Il punto di frattura della statua, poco al di sotto del seno, impedisce di sapere se la dea fosse rappresentata in posizione eretta o seduta su un trono, così come di stabilire quali attributi divini stringesse nelle mani. L’arrivo in città della bellissima statua del Museo Egizio di Torino offre al nostro pubblico la possibilità di integrare almeno idealmente questo busto e di immaginarne l’originaria imponenza. La presenza di Sekhmet nell’atrio del museo vuole essere inoltre di buon auspicio, infondendo nel visitatore un senso di protezione da parte della ‘potente’ in un periodo di prolungata pandemia sanitaria.

Secondo gli studiosi, la statua sembra far parte di un gruppo di centinaia di sculture che adornavano il “Tempio dei Milioni di Anni” a Tebe Ovest; qual era la loro funzione e quali i riti che si svolgevano in questo luogo?
La manifestazione di culto più eclatante nei confronti di Sekhmet si deve al faraone Amenhotep III (1388-1351 a.C.), che, in occasione del suo giubileo, la celebrazione del trentesimo anno di regno, trasformò le litanie innalzate per placare la temibile divinità leontocefala negli ultimi cinque giorni di ogni anno, i Giorni dei Demoni, in una impressionante litania di pietra, facendo scolpire oltre 700 sculture rappresentanti la dea in posizione stante e assisa in trono. Per quanto le statue siano state rinvenute in diverse aree templari tebane (numerose nel Tempio di Mut a Karnak, Tebe Est), molti studiosi ritengono che la loro collocazione originaria fosse Kom el-Hattan, il “Tempio dei Milioni di Anni” di Amenhotep III a Tebe Ovest, e in particolare il cortile solare al suo interno. In tale maniera il sovrano si garantiva la protezione della dea in terra e partecipava al periplo divino del sole del quale Sekhmet era una manifestazione.

Anche la collezione egizia bolognese conserva un busto della dea Sekhmet; qual è la sua provenienza e la sua storia, e quale l’eventuale relazione con la statua torinese?
Come la stragrande maggioranza dei reperti egiziani del Museo Civico Archeologico di Bologna, anche il busto di Sekhmet appartenne alla raccolta di antichità del pittore bolognese Pelagio Palagi, che acquistò tra gli anni 20 e 40 dell’Ottocento oltre tremila reperti egizi. Questi arrivarono in città nel 1861, un anno dopo la sua morte. I documenti di archivio sino ad ora rintracciati non permettono di stabilire da chi e quando Palagi abbia acquistato il busto di Sekhmet, mentre possiamo affermare con certezza che la scultura fu fatta eseguire dal faraone Amenhotep III per il “Tempio dei Milioni di Anni” a Tebe Ovest in occasione del suo giubileo. La statua, tra l’altro, apparteneva al gruppo delle sculture finite, e cioè incise, levigate e verosimilmente dipinte in antico, le più raffinate.

La collezione egizia bolognese possiede un’importante raccolta di reperti: utensili, gioielli, sculture, steli, mummie e sarcofagi di varie epoche e dinastie. Quali vorrebbe citare per particolare rilievo, anche se immaginiamo che sia arduo scegliere?
Mi è davvero difficile scegliere, sono molti gli oggetti o i nuclei di materiali che rendono prestigiosa la collezione di Bologna a livello internazionale, sia per l’intrinseco valore storico-artistico, sia per l’eccellente stato conservativo. Tra i molti, in ogni caso, meritano il primo posto i cinque frammenti parietali decorati a rilievo dalla tomba a Saqqara di Horemheb, comandante in capo dell’esercito al tempo del faraone Tutankhamun (1333-1323 a.C.) e, in seguito, ultimo sovrano della XVIII dinastia (1319-1292 a.C.). I rilievi sono noti in tutto il mondo, non solo in ambito egittologico, per lo stile di esecuzione e i soggetti rappresentati, prevalentemente di ambito militare, tra i quali quello che è considerato il primo uomo a cavallo della storia.

Non è la prima volta che il Museo di Bologna collabora con il Museo di Torino, già in altre occasioni è stata condotta una proficua collaborazione. Fra queste ricordiamo la mostra Egitto. Splendore Millenario nel 2015-2016. Quali sono i contributi che questa partnership ha generato?
Nel 2015, in occasione della mostra Egitto. Splendore Millenario, il Museo Egizio di Torino ha apportato un contributo significativo all’esposizione concedendo in prestito materiali databili all’Antico e Medio Regno, oltre ad un vaso in alabastro proveniente dalla tomba a Saqqara di Djehuti, scriba reale e preposto ai paesi stranieri settentrionali durante il regno del faraone Thutmose III (1479-1425 a.C.). A conclusione della mostra, i materiali databili all’Antico e Medio Regno sono stati lasciati in deposito a Bologna sino alla fine del 2023. Tale deposito ha permesso di integrare alcune lacune cronologiche e tipologiche della collezione bolognese fornendo così una conoscenza migliore della civiltà egizia sia al numeroso pubblico scolare sia al numeroso pubblico adulto che visita il Museo Civico Archeologico di Bologna annualmente.

Quali sono gli obiettivi scientifici e culturali che la collaborazione fra i Musei di Bologna e di Torino intende avviare per il futuro?
Sin dal 2014, anno in cui è stato sottoscritto un accordo tra i nostri musei, si è avviata una collaborazione scientifica finalizzata al costante scambio di contenuti scientifici e divulgativi per la creazione di un “museo diffuso” a livello locale, nazione e internazionale. In base a tale accordo, di recente prorogato sino alla fine del 2023, sono stati intrapresi progetti di ricerca congiunti, sono state scambiate informazioni sulle reciproche collezioni e sullo scavo di Saqqara, dal quale provengono molti dei rilievi di Bologna, inclusi quelli di Horemheb, e che il Museo Egizio dirige in partnership con il Museo Nazionale di Antichità di Leiden. Nel 2020, ad esempio, il Museo Civico Archeologico di Bologna si è reso disponibile a far scansionare i propri rilievi dalla tomba di Horemheb e di Ptahemwia provenienti dalla necropoli di Saqqara per integrare i modelli 3D di questi due contesti funerari che il 3D Survey Group del Politecnico di Milano ha elaborato per conto dei musei di Torino e Leiden. Un altro progetto che vede coinvolti Bologna, Torino e molte altre istituzioni culturali italiane sotto l’egida dell’Accademia dei Lincei, è quello dedicato allo studio del blu egizio, il primo pigmento sintetico della storia, esaminandone l’utilizzo dall’antico Egitto al Rinascimento.

Con queste importanti informazioni ora potremo avvicinarci al mondo egizio e alla scoperta del ruolo della dea Sekhmet con maggiore consapevolezza, nell’auspicio di una ripresa a tutto tondo delle attività museali italiane e internazionali.

Pubblicato su Handbook Costa Smeralda, 29/11/2021

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