“Gli alberi sono santuari. Chi sa parlare con loro, chi li sa ascoltare, conosce la verità” (Herman Hesse).
Gli alberi, simbolo di infinita saggezza, sono i membri più antichi della nostra comunità di esseri viventi e grazie alle loro capacità sensoriali, di memoria e di comunicazione con le altre specie esercitano una forte influenza sul clima. Gli alberi sono dotati di facoltà poco conosciute la cui scoperta ha dato vita all’affascinante ipotesi di un’“intelligenza vegetale”, che potrebbe essere la risposta a molti dei problemi ambientali che ci assillano.
Gli alberi sono tra gli organismi viventi più antichi del mondo: la prima foresta fossile conosciuta risale a 385 milioni di anni fa, e il mondo vegetale costituisce l’82,5% della biomassa terrestre. Il nostro legame ancestrale con gli alberi, la loro bellezza e la ricchezza biologica sono un patrimonio da riscoprire e difendere, e le numerose indagini in atto ci rivelano una vita molto più complessa di quanto appare in superficie.
La “rivoluzione vegetale” è la grande sfida raccolta da un gruppo di artisti e ricercatori che si interrogano sulle questioni ecologiche sottese al rapporto fra uomo e natura, proponendo ognuno il proprio punto di vista. La Fondation Cartier pour l’art contemporain ha riunito una comunità di artisti, botanici e filosofi per realizzare la grande mostra Trees, che attraverso un percorso estetico e scientifico mette in luce il ruolo cruciale degli alberi per la sopravvivenza del Pianeta e il dramma della deforestazione.
Il tema del rapporto dell’uomo con la natura è ricorrente nel programma espositivo della Fondation Cartier, che già se ne è occupata nella recente mostra The Great Animal Orchestra (2016); fino al 5 gennaio 2020 la fondazione esporrà disegni, dipinti, fotografie, filmati e installazioni di artisti provenienti dall’America Latina, dall’Europa, dagli Stati Uniti, dall’Iran e da comunità indigene come i Nivaclé e i Guaraní del Gran Chaco, Paraguay, e degli indiani Yanomami della foresta amazzonica, esplorando il tema secondo tre filoni narrativi.
In primis si indaga la nostra conoscenza degli alberi – dalla botanica alla biologia delle nuove piante –; in secondo luogo, l’estetica – dalla contemplazione naturalistica alla trasposizione onirica – e, infine, la devastazione attuale delle foreste, raccontata attraverso osservazioni documentarie e testimonianze pittoriche.
Grazie alla lungimiranza dell’antropologo Bruce Albert, che ha sostenuto l’esplorazione di questi temi sin dalla mostra Yanomami, Spirit of the Forest (2003), il progetto invita studiosi e artisti che hanno sviluppato un rapporto unico con gli alberi a esprimere il proprio peculiare punto di vista. Il botanico italiano Stefano Mancuso, pioniere della neurobiologia vegetale e sostenitore del concetto di intelligenza vegetale, ha collaborato con Thijs Biersteker per creare un’installazione che “dà voce” agli alberi e, attraverso una serie di sensori, rivela la loro reazione all’ambiente e all’inquinamento, il fenomeno della fotosintesi, la comunicazione delle radici e l’idea di memoria vegetale, rendendo così visibile l’invisibile.
Il botanico viaggiatore Francis Hallé è testimone sui suoi taccuini dell’incontro tra scienza e sensibilità, illustrando sia la meraviglia dell’artista per gli alberi che una conoscenza approfondita delle piante. La riflessione sul rapporto tra l’uomo e gli alberi, che occupa una posizione centrale nella mostra, è anche il soggetto del film di Raymond Depardon, in cui dipinge platani e querce che ombreggiano le piazze dei villaggi ispirandosi alle memorie personali di chi li conosce e che a loro collega una parte della propria vita. Artista e seminatore, Fabrice Hyber offre nei suoi dipinti un’osservazione poetica e personale del mondo vegetale – ha piantato circa 300.000 semi d’albero nella sua valle in Vandea – e mette in discussione i principi di crescita del rizoma, energia e mutazione, mobilità e metamorfosi. Guidato più dall’estetica di una collezione intuitiva che dalla ricerca del rigore scientifico, l’artista brasiliano Luiz Zerbini compone paesaggi lussureggianti, dando vita a un incontro immaginario fra gli alberi dei giardini botanici tropicali e i simboli della modernità urbana.
Una risposta concettuale e sistematica è quella dell’architetto Cesare Leonardi, che in collaborazione con Franca Stagi ha raccolto ed elaborato una particolare tipologia di alberi, le sue tonalità e variazioni cromatiche, in un prezioso corpus finalizzato alla progettazione di parchi urbani. Con le silhouette spettrali di alti alberi Johanna Calle affronta il drammatico problema della deforestazione, dipingendone poeticamente tutta la fragilità, tema che viene affrontato anche nel film Exit degli architetti Diller Scofidio + Renfro; infine, il mondo onirico del regista paraguaiano Paz Encina offre un’immagine interiorizzata dell’albero quale rifugio della memoria e dell’infanzia.
Il percorso continua nel giardino della Fondation Cartier, un’area naturale creata nel 1994 dall’artista Lothar Baumgarten. Il pubblico è invitato a passeggiare tra gli alberi – come il maestoso cedro libanese piantato da Chateaubriand nel 1823, che ha ispirato Jean Nouvel a creare un’architettura di riflessioni e trasparenze – giocando sul dialogo tra interno e esterno, e dando origine a “emozioni fugaci”. Immerse nella vegetazione, spuntano una scultura in bronzo di Giuseppe Penone, che conserva la traccia della mano dell’artista sul tronco, e una scultura di Agnès Varda, appositamente immaginata per questo progetto. Infine, per una intera settimana, il Theatrum Botanicum diventerà il supporto naturale di una videoinstallazione di Tony Oursler.
La mostra Trees restituisce l’albero al luogo da cui si è partiti spogliandolo dall’antropocentrismo, e riunisce le testimonianze, sia artistiche che scientifiche, di coloro che sono in grado di guardare il mondo vegetale con meraviglia e che ci mostrano perché, come afferma il filosofo Emanuele Coccia, “Non c’è niente di puramente umano, il vegetale esiste in tutto ciò che è umano, e l’albero è all’origine di tutta l’esperienza”.
Crediti fotografici © Miguel Rio Branco Sans titre, Tokyo, 2008 Tirage chromogène, 120 × 120 cm Collection de l’artiste © Miguel Rio Branco
Pubblicato su Handbook Costa Smeralda, 08/11/2019