“È davvero il polso del mondo, come un sogno che si estende dal passato al futuro, una frontiera tra il sogno e la realtà, che mette in discussione la realtà dell’uno e dell’altro. Qui nessuno è ciò che appare” (William Burroughs, lettera ad Alan Ginsberg, 1955).

Una luce bianca e abbagliante investe Tangeri nelle giornate terse e il cielo azzurrissimo si confonde con il blu dei due mari, il Mediterraneo e l’Atlantico. Ma la Città Bianca è spesso sferzata dal vento e dalle piogge, che invitano a un ritiro repentino nelle sue dimore avvolgenti – segreti in una città segreta, scrigni di sapienza artigianale e arte locale – che tanti viaggiatori hanno scelto come rifugio assecondando le proprie intuizioni.

Lontani dagli sguardi indiscreti, intellettuali, scrittori e creativi qui hanno trovato una seconda casa, complice il senso dell’ospitalità che contraddistingue il Marocco, crocevia di gente e di culture; Tangeri è una città da scoprire con calma, che nasconde la sua anima più profonda nelle case, nei palazzi e nei giardini privati, pregiati ritiri dal fascino misterioso e poliedrico. È una città ricca di contraddizioni che ha ispirato negli anni Matisse e Delacroix, Yves Saint Laurent, Truman Capote, Paul Bowles, e più di recente Gordon Watson, Christopher Gibbs, Madison Cox, Umberto Pasti e Frank de Biasi, solo per citarne alcuni.

Colori, pattern e materiali locali – a volte preziosi a volte umili – si fondono e si inebriano del gusto decorativo degli originali padroni di casa. C’è chi si circonda di oggetti e stili provenienti dai paesi d’origine, chi contamina l’ambiente con culture lontane, tutti trovando una nuova dimensione, peculiare e irrepetibile, sorprendente nella sua unicità.

Ventiquattro di queste case sono le protagoniste di Inside Tangier, Houses&Gardens (Vendome Press), un elegante volume che racconta, con parole e immagini, le più belle dimore della città marocchina. Nicolò Castellini Baldissera, sensibile e raffinato interior designer – pronipote dell’architetto Piero Portaluppi e lui stesso “cittadino” di Tangeri – ha accompagnato gli oltre 250 scatti del fotografo Guido Taroni con le storie di queste straordinarie proprietà e dei loro eclettici padroni di casa, di cui ora cercheremo di scoprire qualcosa di più.

Conosciamo Tangeri soprattutto grazie alla letteratura e all’arte, ma oggi scopriamo che esprime la sua parte più autentica e cosmopolita addentrandoci nelle sue splendide dimore. Da cosa nasce la sua fascinazione per questa città?

NCB: La prima volta che venni a Tangeri avevo quattordici anni. Mia madre era con un gruppo di amici, e siamo scesi tutti in moto da Cannes per poter partecipare a una festa nella residenza dei Forbes. A quel tempo, la città si sentiva grandiosa e cosmopolita. Ricordo che giocavo con una collezione di soldatini, alcuni dei quali ora sono nella Legazione americana di Tangeri. Solo dieci anni fa sono tornato. Una coppia di francesi mi ha chiesto di ispezionare un edificio che pensavano di trasformare in una maison d’hôtes; alla fine loro non hanno comprato, ma io sì!

Si può ricercare un fil rouge nella realizzazione di queste dimore o ognuna è un caso a sé che esprime la peculiare creatività e passione dei suoi proprietari?

NCB: Il filo conduttore comune della decorazione di queste case (e dei loro proprietari) è l’aplomb. Tangeri ha una cerchia sociale piuttosto ristretta ed è notoriamente carente di ristoranti: a quanto pare questa è la combinazione perfetta per ispirare la gente a organizzare feste meravigliose tutto l’anno.

Accade qualcosa di speciale se si progetta avendo un occhio di riguardo per l’intrattenimento (oltre alla convenienza e al comfort). Si alza la saturazione dei colori, gli oggetti di pregio vengono al esposti meglio e le piante vengono trattate come oggetti decorativi. Ad esempio, Anna McKew, la cui “Garden House” mi ha ispirato a scrivere il libro, ospita sul suo tetto tutto l’anno cespugli di agapanto blu che non si vedono fino a quel momento speciale di giugno in cui fioriscono. È una gioia indicibile arrivare per un pranzo o un cocktail e vedere la trasformazione che è avvenuta quando la casa e il giardino ombreggiato si sono improvvisamente riempiti di blu elettrico.

Pattern, colori, rivestimenti, oggetti e arredi, ogni casa ha la sua declinazione e le sue bizzarrie. Quanto l’artigianato tangerino ha influenzato le scelte dei designer?

NCB: Vivere – e per estensione decorare – a Tangeri richiede creatività. Non ci sono Clarence House, Farrow e Ball o Boffi dove rifugiarsi. Abbiamo invece la Casa Barata, un incrocio tra un mercatino delle pulci e un magazzino di oggetti in disuso dove si trova un banco pieno di perline, bottoni e spille, metri di orribile velluto d’oro sintetico, rottami di metallo e, se si è fortunati, un vecchio armadio perfetto per la camera degli ospiti.

Ma a causa di questi limiti, e anche perché questa città ha ospitato generazioni di decoratori esigenti, ci sono artigiani in abbondanza. Molti di noi condividono un tappezziere che si è fatto le ossa lavorando per Christopher Gibbs e Alberto Pinto. Ci sono metallurgici che possono trasformare aste di ferro in balaustre stravaganti (uno di loro ha creato le maniglie delle porte di casa mia), e rattan a bizzeffe. Penso che ciò che finisce per succedere, almeno a me è successo così, e che si trova qualcuno con cui si ama lavorare e si sta a vedere cosa ne viene fuori.

Le abitazioni sono sparse in diverse location della città, in cosa sono differenti una dalle altre?

NCB: All’interno della nostra selezione di case, ci sono grandi differenze di contesto, cultura e disponibilità economica. Come si può paragonare il vasto complesso di Veere Grenney con una piccola casa nella Medina? Posso osare?

Molte residenze hanno uno stretto rapporto con il verde esterno, altre hanno una vista sul mare, altre ancora sono nel cuore della Medina, ma nonostante siano così diverse – a volta stravaganti a volte essenziali – si coglie un senso di armonia generale in cui aleggia un’aria di mistero. Per lei in cosa consiste questo mistero?

NCB: Il senso della scoperta è davvero parte integrante di Tangeri. Non è un luogo che si rivela immediatamente. Inoltre, ogni vista è unica e tante case sono in muratura – gli stessi muri che aprono i capitoli sparsi in tutto il libro. E infine, le varie influenze di metodi costruttivi hanno generato ovunque un’architettura sorprendente. Gli americani qui costruirono la loro ambasciata per la prima volta nel XVIII secolo, la prima al mondo. C’era (e c’è ancora) una forte presenza italiana: un grande consolato, una scuola, un palazzo e un ospedale. Lo stesso vale per molti altri paesi europei che per centinaia di anni si sono battuti per il controllo di questa città portuale che ha avuto il culmine nel periodo tra le due guerre, in cui è stata governata congiuntamente. Il risultato è una miscela di influenze, una storia di segreti e di origini sconosciute.

Il libro è ricco di aneddoti legati ai personaggi che hanno scelto di vivere nelle case tangerine, ce n’è qualcuno che ama ricordare in particolare?

NCB: Blanca Hamri è arrivata a Tangeri negli anni ‘70. All’epoca era una donna di quarant’anni, la sua intenzione non era di crearsi una nuova vita, ma di fare una sosta ritornando a New York da viaggi all’est (Blanca è nata a Coney Island, e conserva ancora il suo meraviglioso accento di Brooklyn). Ma a Tangeri incontrò un artista di nome Mohammed Hamri, amico di molti della Beat Generation che erano venuti a Tangeri e che aveva presentato Brian Jones dei Rolling Stones ai musicisti sufi trance di Joujouka. E quando Hamri portò Blanca a fare un viaggio in macchina da far rizzare i capelli al Giardino delle Esperidi (il leggendario luogo dell’undicesima fatica di Ercole, appena fuori Tangeri), si innamorarono e si sposarono da lì a poco.

Negli anni successivi Blanca realizzò diversi lavori, come ad esempio produzioni scolastiche per l’American School of Tangier, dove Paul Bowles scriveva sceneggiature componeva musiche, mentre Yves Saint Laurent disegnava i costumi. La sua stessa figlia ha frequentato quella scuola; ora è una regista di grande successo in California. Amo la storia di Blanca perché è avvolta in quell’atmosfera di riscoperta, creatività e opportunità che è Tangeri stessa.

Il fascino emanato da queste dimore esprime una grande libertà di pensiero e una fervida fantasia, si potrebbe dire che i proprietari abbiano avuto modo di esprimersi meglio a Tangeri che nei loro paesi d’origine?

NCB: Mi chiedo se questo non fosse più vero nel passato, quando essere una pecora nera poteva costare la reputazione di una famiglia, o quando la distanza fisica significava affidarsi alle lettere. Tangeri è sempre stata brava a permettere alle persone di condividere il loro lato più personale, forse perché è una città molto intima…

Pubblicato sul magazine Handbook Costa Smeralda, n.1, 2020

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